«Mezzaparola», la rubrica di Portolano sulle parole. Ogni epoca ha le sue torri ( torre > πύργος > برج > bùrgiu)

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torre > πύργος  >  برج  > bùrgiu

torri

di Salvatore Nicosia

Il greco πύργος (pyrgos) è “la torre”, in senso proprio, ma anche figurato: Aiace è, per i Greci combattenti a Troia, una “torre”, un “baluardo” (Odissea 11.556). Gli Arabi assumono il termine dai Bizantini adattandolo, come burǵ, alle leggi fonetiche della loro lingua (caratteristico il passaggio da p > b, come Palermo > Balarm), e la voce araba è all’origine di molti toponimi nei territori da loro dominati, in Sicilia soprattutto, ma anche nella penisola Iberica. Il toponimo più noto è quello di Burgio, in provincia di Agrigento (ma Borgetto – sic. Burgettu – non è altro che un diminutivo), da cui il diffuso cognome Burgio.

Un ‘torre’ particolare è quella costruita dai contadini siciliani nelle zone cerealicole. Tutta la paglia, residuo della battitura delle messi, indispensabile al sostentamento annuale degli animali da soma, veniva ammassata accanto all’aia e organizzata, con straordinaria sapienza costruttiva, fino a costituire una torre (burgiu): ricoperta in alto e in tutta la superficie da una sottile crosta di argilla o di terra impastata, riusciva ad assicurare la perfetta conservazione della paglia, che da un buco praticato nella crosta poteva essere attinta e utilizzata nella misura necessaria nel corso di tutto l’anno. È l’attuazione del fondamentale principio del lavoro contadino, capace di conseguire il massimo dei risultati possibili con il minimo dei mezzi disponibili.

Ogni epoca, ogni individuo, ogni gruppo sociale che aspirasse a farsi protagonista della storia, ha elevato le sue torri. I discendenti di Noè posero mano alla costruzione, nella terra di Sennaar (odierno Irak), a “una torre la cui cima si elevasse fino al cielo”, ma il Signore intervenne a confondere le lingue dei costruttori, “disperdendoli su tutta la faccia della terra” (Genesi 11.1-9); Acrisio re si Argo ne costruì una di bronzo (Orazio, carm. 3.16.1) per preservare ­– fatica sprecata – la figlia Danae dalle mire di Zeus, che da una fessura vi penetrò dentro come pioggia d’oro, generando Perseo; una torre di 40 metri, costruita dai Turchi (1450-1470) e per secoli arrossata dal sangue di torturati e condannati a morte, è oggi, interamente dipinta di bianco (perciò Torre Bianca, Λευκός Πύργος), il monumento identitario di Salonicco, ritornata greca solo nel 1912; con 10.000 tonnellate di ferro la Tour Eiffel si è costituita come metallico simbolo iconografico del progresso. I contadini siciliani non sono stati da meno: hanno disseminato le campagne di migliaia di impeccabili burgi, con un lungo lavoro di altissima ingegneria che hanno dovuto ripetere ogni anno, immuni da ogni pretesa di protagonismo, nel corso di millenni sempre uguali. Meritano perciò che se ne conservi, se non più la realtà, travolta dalla dispersione del mondo contadino, almeno la memoria.

p.s. La connessione di questo pyrgos con il latino burgum e il germanico burg (da cui borgo, Ham-burg, borgesia, etc.) è piuttosto controversa.

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MEZZAPAROLA è la rubrica di Portolano dedicata alle parole e ai viaggi che esse, da brave migranti eterne, intraprendono nello spazio e nel tempo. Una rubrica come un gioco di parole che vuole testimoniare – come ci scrive proprio Salvatore Nicosia che l’ha inauguratauno dei mille esempi che si potrebbero fare di questo straordinario turbinio delle parole (e degli uomini che le pronunziano) che da sempre ha caratterizzato il Mediterraneo, mare chiuso e apertissimo: un fenomeno di fronte al quale ogni strategia di contenimento e di repressione si appalesa antistorica, stupida e destinata a fallire.

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